La voce del magistero
Il ruolo dei fedeli laici nella Chiesa, secondo Benedetto XVI
Pubblichiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI sabato mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, ricevendo in udienza il terzo gruppo di Vescovi della Conferenza Episcopale della Polonia al termine della loro visita “ad limina apostolorum” al Papa e ai suoi collaboratori della Curia romana.
CITTÀ DEL VATICANO, domenica, 18 dicembre 2005.
Cari Fratelli nel ministero episcopale!
Con gioia do il mio benvenuto a tutti voi, che costituite il terzo gruppo dei Vescovi della Polonia, giunti in visita ad limina apostolorum.
Nei discorsi precedenti ho toccato numerosi temi connessi con l’impegno dell’evangelizzazione nel mondo moderno. Ho anche annunziato che nella terza parte del mio messaggio avrei centrato la riflessione sul ruolo dei fedeli laici nella Chiesa.
1. Parrocchia
Cominciamo dunque da quell’ambiente che nella struttura della Chiesa è il più fondamentale – l’ambiente della parrocchia. Nel Decreto conciliare sull’apostolato dei laici leggiamo: “La Parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato “comunitario”, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa. Si abituino i laici ad agire, nella Parrocchia, in intima unione con i loro sacerdoti; apportino alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questioni spettanti la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; diano, secondo le proprie possibilità, il loro contributo a ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica” (n. 10).
La prima e più importante esigenza è che la parrocchia costituisca una “comunità ecclesiale” e una “famiglia ecclesiale”. Anche se si tratta di parrocchie molto numerose, occorre fare ogni sforzo possibile affinché esse non si riducano a una massa di fedeli anonimi. Naturalmente, nella realizzazione di tale compito è insostituibile il ruolo dei sacerdoti, e in modo particolare dei parroci. Essi per primi dovrebbero conoscere le pecorelle del proprio ovile, mantenere i contatti pastorali con ogni ambiente, cercare di conoscere le necessità spirituali e materiali dei parrocchiani.
È importante anche la partecipazione attiva dei laici nella formazione della comunità. Ho qui in mente prima di tutto i Consigli pastorali e i Consigli per gli affari economici (cfr Codice di Diritto Canonico, can. 537). Sebbene essi abbiano carattere soltanto consultivo e non decisionale, possono tuttavia aiutare efficacemente i Pastori nel discernimento delle necessità della comunità e nell’individuare le modalità per venire incontro ad esse. La collaborazione dei Consigli con i Pastori deve sempre svolgersi nello spirito di comune sollecitudine per il bene dei fedeli.
È necessario anche un vivo contatto dei Pastori con le diverse comunità di apostolato che operano nell’ambito della parrocchia. Non si può neppure dimenticare la necessità della collaborazione tra le comunità stesse. Mai dovrebbero esserci rivalità tra di esse; dovrebbe piuttosto aversi tra di esse un reciproco e cordiale completamento nell’affrontare i compiti apostolici. Specialmente i leaders di tali gruppi non dovrebbero dimenticare che, operando sul terreno e in una comunità parrocchiale, sono chiamati a realizzare un comune programma di pastorale, sotto la direzione dei Pastori responsabili.
In riferimento all’evangelizzazione, ho già parlato della necessità della catechesi degli adulti. Essa, sebbene basata sulla Sacra Scrittura e sul Magistero della Chiesa, deve poi concentrarsi sull’esperienza sacramentale, e particolarmente sull’impegno a vivere il mistero dell’Eucaristia. I Padri conciliari non esitarono a riconoscere che l’Eucaristia è “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (cfr Presbyterorum ordinis, 5; Sacrosanctum Concilium, 10). Come scrisse il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, “la Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza” (Ecclesia de Eucharistia, 11). Perciò i Pastori della Chiesa devono fare ogni sforzo affinché il popolo loro affidato sia cosciente della grandezza di tale dono e si accosti con la maggiore frequenza possibile a questo Sacramento dell’amore sia nella Celebrazione eucaristica e nella comunione, che nell’adorazione.
Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II ha ricordato che l’Eucaristia domenicale è “il luogo privilegiato dove la comunione è costantemente annunciata e coltivata” (n. 36). So che nella Chiesa in Polonia la partecipazione dei fedeli alla S. Messa domenicale è numerosa. Tuttavia i Pastori, incoraggiati dai loro Vescovi, facciano il possibile, affinché il numero dei partecipanti alla Liturgia domenicale non diminuisca ma cresca.
Vi chiedo cordialmente, Fratelli, di incoraggiare i sacerdoti a prendersi cura dei bambini e dei giovani che si accostano all’altare del Signore come chierichetti e lettori. Abbiano sollecitudine pastorale anche per le ragazze che partecipano attivamente, nel loro ruolo, alla Liturgia. Questo servizio pastorale può portare molti frutti per le vocazioni sacerdotali e religiose.
2. I movimenti e gli ambienti apostolici
Nel secolo passato, specialmente dopo il Concilio, si sono sviluppati nella Chiesa vari movimenti aventi come fine l’evangelizzazione. Tali movimenti non possono esistere per così dire “accanto” alla comunità universale della Chiesa. Perciò fa parte dei compiti del Vescovo diocesano mantenere un contatto vivo con essi, incoraggiandoli ad operare conformemente al carisma riconosciuto dalla Chiesa e a guardarsi, nello stesso tempo, dalla chiusura verso la realtà che li circonda.
Molti di questi movimenti hanno stabilito un vivo contatto con le Chiese non cattoliche. Essi possono recare un importante contributo nel lavoro di costruzione dei legami ecumenici: la comune preghiera e le opere intraprese insieme alimentano la speranza che possa essere affrettato l’avvicinamento anche nel campo della dottrina e della vita della Chiesa. Occorre tuttavia che anche qui i Vescovi abbiano cura di fare interpretare correttamente l’ecumenismo. Esso deve sempre consistere nella ricerca della verità e non dei facili compromessi che possono portare i movimenti cattolici a perdere la propria identità.
Accanto ai movimenti ecclesiali esistono molteplici ambienti di laici che si associano su un dato terreno, oppure in base alla professione svolta e si rivolgono ai Vescovi, chiedendo l’introduzione di una pastorale specifica, corrispondente alla loro realtà. Cari Fratelli, vi incoraggio a sostenere tali iniziative, offrendo a ciascuno la possibilità di sviluppare la propria spiritualità in base alle sue sfide quotidiane.
Tra questi ambienti Giovanni Paolo II ha dedicato una particolare attenzione a coloro che “occupano posti di primo piano nella società” (Alzatevi, andiamo!, 91), ma che allo stesso tempo desiderano vivere la vita della fede e dare una testimonianza cristiana. Il Concilio li esortava: “Coloro che sono o possono diventare idonei per l’esercizio dell’arte politica, così difficile, ma insieme così nobile, si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al proprio interesse e al vantaggio materiale. Agiscano con integrità e saggezza contro l’ingiustizia e l’oppressione, il dominio arbitrario e l’intolleranza d’un solo uomo e d’un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti” (Gaudium et spes, 75). Nella realizzazione di questo compito, i politici cristiani non possono rimanere privi di aiuto da parte della Chiesa. Si tratta qui, in modo particolare, dell’aiuto a prendere coscienza della loro identità cristiana e dei valori morali universali che si fondano nella natura dell’uomo, così da impregnarsi, in base a una retta coscienza, a trasfonderli negli ordinamenti civili, in vista dell’edificazione di una convivenza rispettosa dell’uomo in ogni sua dimensione. Occorre tuttavia mai dimenticare che è una questione “di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori” (Ibid., 76).
3. Il volontariato
Per concludere, vorrei far notare un’altra dimensione dell’impegno dei laici nella Chiesa. Nel mondo di oggi, insieme alla globalizzazione e al veloce passaggio delle informazioni, osserviamo in molti ambienti una maggiore sensibilità alle necessità altrui e la disponibilità a correre in aiuto ovunque capiti una sventura.
A fianco alle iniziative internazionali e nazionali si stanno sviluppando anche varie forme di volontariato, che si prefiggono come fine l’aiuto ai bisognosi presenti nel proprio ambiente. Negli ospizi, nei dormitori per i senzatetto, per le persone dipendenti, per le madri sole e vittime della violenza operano persone disposte a spendere il proprio tempo a servizio degli altri. Esse portano aiuto anche ai malati, alle persone sole, alle famiglie numerose e che vivono nell’indigenza, ai portatori di handicap fisico o mentale. Vengono organizzati centri di intervento in caso di crisi, unità operative a servizio delle persone che sperimentano l’una o l’altra difficoltà che la vita può riservare. Non si può non apprezzare l’opera di quanti si ispirano all’esempio del samaritano evangelico. Essa va sostenuta ed animata.
So che in Polonia si sta sviluppando anche il volontariato che si propone come scopo la difesa della vita umana. Si deve gratitudine a tutti coloro che intraprendono un’opera di educazione, di preparazione alla vita matrimoniale e familiare, e difendono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale. Molti impegnano in tale attività i propri mezzi materiali, altri il proprio tempo, altri ancora offrono il dono della preghiera. Tutti costoro attendono l’incoraggiamento e il sostegno morale da parte dei Vescovi, dei sacerdoti e di tutta la comunità dei credenti. Che esso non manchi!
Le missioni sono un altro campo della vita della Chiesa, nel quale si impegnano i volontari. Sempre più numerosi laici partono per i paesi di missione, per lavorare lì secondo la loro preparazione professionale e i propri talenti, e allo stesso tempo per dare una testimonianza di amore cristiano agli abitanti delle più povere regioni del mondo. È un’attività degna di ammirazione e di riconoscimento. Vi esorto, cari Fratelli, ad accettare con apertura e benevolenza, anche se sempre con la dovuta prudenza, quei laici che sono disposti a lavorare nelle missioni. La grande opera missionaria di tutta la Chiesa sia sorretta spiritualmente e materialmente da tutti, secondo la vocazione cristiana di ciascuno, nella consapevolezza dell’impegno che scaturisce dal Battesimo, a portare a tutti i popoli l’evangelico messaggio dell’amore di Cristo.
Tanti altri, valorosi pensieri sul tema dell’attività dei laici nella Chiesa e nel mondo troverete, cari Fratelli, nei documenti del Concilio e dei miei Predecessori in questa Sede Apostolica. Vale la pena di tornare a riflettere su questo magistero. Voi, Fratelli diletti, ben sapete discernere le necessità delle comunità affidate alla vostra cura pastorale e creare le migliori condizioni per una buona collaborazione del laicato con il clero nella stessa opera d’evangelizzazione, di santificazione e di edificazione del Regno di Dio. Vi sostenga in quest’opera Maria, Madre della Chiesa. Il buon Dio vi benedica!
Discorso di Paolo VI al Capitolo Generale dei Carmelitani Scalzi
Giovedì, 22 giugno 1967
Chi siete Voi, Figli carissimi, che con la sola vostra presenza trasportate il Nostro pensiero in orizzonti storici tanto remoti e non poco discussi? Dal monte Carmelo venite e Ci portate il ricordo e quasi un soffio del grande profeta, araldo potente di Jahve, Elia, figura del Precursore, che annunciò l’arrivo del Messia Gesù? E siete voi i seguaci degli asceti a cui S. Alberto di Vercelli, e lontano Patriarca latino di Gerusalemme, diede la prima regola (1208), tutta orientata verso l’orazione nella solitudine e nella penitenza e che il Nostro lontano Predecessore Onorio III, nel 1226, approvò? Voi precisate: sì, quella è tuttora la norma spirituale e ascetica basilare, alla quale abbiamo consacrato la nostra vita; ma noi, per la verità, siamo quei Carmelitani Scalzi, che discendono dalla riforma, operata quattro secoli fa, dai due grandi maestri della mistica cattolica, S. Giovanni della Croce e Santa Teresa di Gesù. Grande ed illustre famiglia religiosa, che rappresenta storicamente uno dei più insigni ed efficaci sforzi della Chiesa cattolica, decisa, dopo il Concilio di Trento, a ritrovare le proprie espressioni più ardite e più caratteristiche di santità tutta tesa, mediante l’umiltà e lo spogliamento di sé, e mediante una vita comunitaria resa scuola di carità, di semplicità, di scienza spirituale, alla contemplazione. Ascoltiamo allora la vostra definizione; la delinea per le sue figlie S. Teresa, ma sappiamo bene che questa straordinaria interprete delle cose di Dio è pure la vostra maestra.
“Así digo ahora que, aunque todas las que traemos este hábito sagrado del Carmen somos llamadas a la oración y a la contemplación (porque éste fué nuestro principio, de esta casta venimos, de aquellos santos Padres nuestros del Monte Carmelo, que en tan grave soledad y con tanto desprecio del mundo buscaban este tesoro, esta preciosa margarita de que hablamos), pocas nos disponemos para que nos la descubra el Señor. Porque cuanto a lo exterior, vamos bien para llegar a lo que es menester en virtudes; para llegar aquí, hemos menester mucho mucho y no nos descuidar poco ni mucho; por eso, hermanas mías, alto, a pedir al Señor que pues en alguna manera podemos gozar del cielo en la tierra, que nos dé su favor para que no quede por nuestra culpa y nos muestre el camino y dé fuerzas en el alma para cavar hasta hallar este tesoro escondito, pues es verdad que le hay en nosotras mismas” (Moradas del Castillo Interior, V, cap. I; ed. B.A.C., pp. 392-393).
E se aggiungiamo a questo programma di vita interiore il culto particolarissimo, che voi tributate alla Madonna, abbiamo individuato gli elementi principali costitutivi della vostra spiritualità. Ma allora qui sorge anche per voi la domanda, che si pongono non poche Famiglie religiose, le quali parimente traggono dai secoli antichi la loro forma di vita; e la domanda è questa: voi, Figli venerati e carissimi del Carmelo Teresiano, siete uomini del passato, o siete uomini tuttora del nostro tempo? Che a voi, come ad altri istituti religiosi del vostro tipo, si debba riconoscere una onorata e ricca tradizione storica, nessuno dubita; anzi la cultura moderna è ben disposta a tessere le narrazioni e le lodi dei vostri fasti passati; ma oggi? Non vi considera essa come dei sopravvissuti, ormai anacronistici ed estranei alle correnti vive di pensiero, di azione, inadatti a inserire nella circolazione degli interessi spirituali e sociali qualche valore degno della considerazione dell’uomo moderno?
Oh! voi conoscete troppo bene la vittoriosa risposta, che si può dare a simili dubbi: la vostra stessa numerosa, compatta, libera e convinta compagine la offre, non come una semplice eredità del passato, non come un’apologia di forme di vita convenzionali, e nemmeno come ostinata stranezza religiosa incurante del mondo e delle sue evoluzioni; no, voi siete, sì, conservatori d’una scuola di spiritualità, che nel passato ebbe la sua prodigiosa origine e la sua meravigliosa fioritura; ma siete, al tempo stesso, persuasi di portare con voi valori che non invecchiano, e di perseverare nell’interpretazione della vocazione cristiana, che nessuna generazione riesce ad esaurire, e che nel perenne tentativo di adeguarsi al suo ideale si rinnova, si ringiovanisce, si manifesta sempre idonea, tanto a placare le più alte aspirazioni dello spirito, quanto ad alimentarne l’inestinguibile fiamma.
Del resto, il Concilio, cioè l’attualità e l’autorità della Chiesa, ha parlato; e chi sa quante riflessioni voi avete fatto sulla rivendicazione ch’esso fa della vita contemplativa, la vostra. Rileggiamo insieme le auree parole: “Instituta quae integre ad contemplationem ordinantur, ita ut eorum sodales in solitudine ac silentio, in assidua prece et alacri paenitentia soli Deo vacent, in corpore Christi mystico… praeclaram partem semper retinent” (Perfectae caritatis, 7). Dunque: un Istituto religioso come il vostro non solo conserva il diritto di vivere nella Chiesa d’oggi, e cioè, in certo senso, nel mondo d’oggi, ma risente la sua chiamata a inserire nella vitale vicenda del Popolo di Dio la propria originale testimonianza. La Chiesa non è un cimitero, non è un museo; è un giardino dove ogni pianta ha sempre nuova primavera.
E allora, Figli carissimi, quale la vostra?
Noi siamo sicuri che nelle lunghe e laboriose discussioni del vostro Capitolo voi avete già sapientemente elaborato i canoni del vostro “aggiornamento”; e Noi non possiamo far altro che raccomandarvi di dare volonterosa applicazione alle norme, che voi stessi vi siete prescritte per il vostro rinnovamento religioso. E in questa certezza Ci piace indovinare i punti sui quali certamente si è fermata la vostra attenzione e si sono affermati i vostri propositi. Così li esponiamo per dare a Noi ed a voi il gaudio d’una bella sintonia di pensieri; e basti fuggevolmente.
Indubbiamente voi vi siete prefissi, come il Concilio prescrive e come vuole la ragion d’essere d’un Istituto vetusto e moderno qual è il vostro: ripensare alle origini, prima di tutto. Questo è il primo rinnovamento: guardare indietro per andare avanti nella giusta direzione. La via è segnata alla sua partenza. L’albero vive della sua radice. E non è dubbio che la vostra più vitale radice è l’insegnamento di S. Teresa; esso vale principalmente per le Monache Carmelitane, ma nei suoi canoni fondamentali e nel suo spirito vale anche per voi; ogni opportuno adattamento non deve contraddire o deformare la fisionomia religiosa caratteristica che una tale Riformatrice-Fondatrice ha impresso al Carmelo.
E perciò:
contemplazione e culto mariano, come dicevamo, restano i suoi caratteri costitutivi. Abbiateli cari; abbiateli così cari da infondervi la vostra vocazione, la vostra attuale formazione, di uomini, di cristiani, di figli del nostro tempo, di alunni della Chiesa del Concilio. Nova et vetera: la formula è sempre buona; ed oggi forse meno difficile che ieri, perché oggi abbiamo delle cose antiche migliore conoscenza, delle cose nuove maggior desiderio.
E poi dovete ricordarvi che la vostra vocazione è singolare, che voi avete scelto una formula difficile e che la vostra via è quella stretta, austera ed ardua d’una vita ascetica, così distaccata da quella comoda e comune che le tendenze naturalistiche offrono oggi anche ai professanti della perfezione, e insieme così impegnata alla specifica ricerca della sublime arte dell’orazione e dell’intensità della conversazione spirituale, da qualificarvi davvero cercatori dell’unica pienezza, dell’unica pace, dell’unico amore nell’unione dell’anima a Dio.
Ma infine capiterà a voi, come capitò a Santa Teresa, di avvertire in tal modo i bisogni della Chiesa ed i mali della società da fare di essi non motivi di fuga, ma d’interesse spirituale e di concepire la vostra dedizione all’amor di Dio come un esercizio dell’amore del prossimo. Anzi, voi sapete, l’urgenza e la molteplicità dei bisogni della santa Chiesa così premeranno alla porta dei vostri conventi e delle vostre celle da persuadervi che per non aver distrazione ed interiore rimprovero nell’esercizio della vostra orazione dovrete farvi, da monaci missionari, da solitari contemplativi, farvi maestri di spirito e predicatori ai fratelli privi del pane del Vangelo e pur avidi del vostro alimento spirituale, da bravi carmelitani punto iniziati alla vita pastorale farvi bravissimi parroci e, se occorre, degnissimi Vescovi, come già avviene a onore del vostro Ordine, a edificazione della Chiesa di Dio e a gloria di nostro Signore. Lo sappiamo, questa non è la vostra vocazione, ma può essere, quando l’autorità e la carità della Chiesa ve lo chiede, un vostro dono, che punto impoverirà la vostra preghiera, ma le metterà fuoco di esperienza, di passione, di amore come nessun altra cosa potrebbe fare. Quanto darete, per questa carità, tanto otterrete per la vivacità, per il realismo, per il rinnovamento del vostro impegno contemplativo. Non distrazione, ma nutrimento sarà per la stessa vostra vocazione carmelitana l’accettazione di ministero parrocchiale, missionario, pastorale, quando la Gerarchia ecclesiastica responsabile ve lo offre; è ciò del resto fra i meriti delle vostre tradizioni. Vi saremo grati anche Noi, se; all’occorrenza, saprete saggiamente rinnovarli ed accrescerli.
E che la Madonna santissima vi conforti, Figli carissimi, nella vostra vocazione carmelitana; Ella vi conservi il gusto delle cose spirituali; Ella vi ottenga i carismi delle sante e ardue ascensioni verso la conoscenza del mondo divino e verso le ineffabili esperienze delle sue notti oscure e delle sue luminose giornate; Ella vi dia l’anelito alla santità e alla testimonianza escatologica del regno dei cieli; Ella vi renda esemplari e fraterni nella Chiesa di Dio; Ella vi introduca un giorno a quel possesso di Cristo e della sua gloria a cui tutta la vostra vita vuol essere fin d’ora consacrata. E a tanto vi conforti la Nostra Apostolica Benedizione, che particolarmente impartiamo ai Prepositi Generali, a quello di ieri e a quello di nuova elezione, a voi Capitolari tutti e all’intero, santo e diletto Ordine dei Carmelitani Scalzi.