San Giovanni della Croce
Profilo Biografico
Juan de Yepes
Juan de la Cruz con Teresa de Jesús, dottori della Chiesa, sono fino ai nostri giorni i maestri di mistica più autorevoli e più studiati.
È merito infatti soprattutto di Juan de la Cruz di avere innalzato la teologia spirituale alla perfezione di una vera sistemazione scientifica.
Egli nacque, terzogenito, a Fontiveros nel 1542, da Gonzalo de Yepes e da Catalina Alvarez.
Da poco aveva compiuto i due anni quando rimase orfano di padre; fu da allora che cominciò per la sua povera famiglia una vita di fame e di stenti, anche perché i parenti paterni rifiutarono l’aiuto alla famigliola.
La madre dovette nel 1548 partire con i figli da Fontiveros, per raggiungere Arévalo, vicino ad Avila, ove si trattenne per qualche anno. Si logorò nel lavoro per i suoi figli: il pane scarseggiava.
Sempre la carestia allontanò la famigliola da Arévalo, per Medina del Campo, città più industriosa. Juan venne ammesso al collegio della dottrina dove si insegnava ai ragazzi un mestiere, secondo le loro attitudini. Egli cercò di intraprendere diversi mestieri manuali: il falegname, il sarto, lo scultore in legno. Nonostante la sua buona volontà, non riuscì bene in nessuna di queste arti, però dimostrò una notevole vena artistica.
Nascita di una vocazione
Passò all’ospedale di Medina del Campo come infermiere e raccoglitore d’elemosine. Frequentò, in seguito, il collegio dei Gesuiti; quivi studiò con serietà, tra i 17 e i 21 anni, di notte, poiché di giorno doveva prestare il suo servizio all’ospedale. Era portato molto per le materie letterarie; in questi anni di studio, riuscì ad imparare molto bene il latino. Era benvoluto dagli ammalati, tanto che avrebbe potuto, esercitando il suo mestiere, continuare gli studi e diventare cappellano dell’ospedale, divenendo concreto aiuto anche per la famiglia. Ma la sua strada non era certo questa: egli seguì la voce che lo invitava al Carmelo.
Nel 1563 vestì infatti l’abito carmelitano, prendendo il nome di Juan de Santo Matía; dopo un anno di noviziato, ove fece brillare le sue grandi virtù, emise la sua professione religiosa, ottenendo di poter osservare la Regola primitiva dell’Ordine.
Da Medina fu mandato a Salamanca, dove studiò all’Università filosofia e teologia, basi delle sue opere e del suo futuro insegnamento. Riuscì assai bene in questi studi, tanto da essere nominato prefetto degli studenti, funzione allora riservata al più bravo degli studenti stessi. Non si sa chi furono a Salamanca i suoi insegnanti: si sa invece con certezza che la sua vita in quegli anni ebbe un’influenza che si estendeva fino a Medina del Campo.
Juan apprese senz’altro dai suoi insegnanti quelle linee della filosofia scolastica, che sarebbero state il fondamento dei suoi futuri lavori poetici e religiosi.
Nel 1567 fu ordinato sacerdote a Salamanca e celebrò a Medina la sua Prima Messa.
Il Carmelo allora stava attraversando un periodo di mediocrità, che ricordava poco quello degli antichi Padri; Juan de Santo Matía, dopo aver osservato per cinque anni la primitiva Regola, aspirò, con tanto sincero slancio, ad una maggiore solitudine contemplativa: desiderava farsi Certosino.
Un incontro inatteso
Proprio in quello stesso anno, 1567, incontra però, a Medina del Campo, Teresa de Jesús.
Avendolo ella conosciuto, e sapendo il suo proposito di farsi Certosino, lo pregò di aspettare, esponendogli i suoi disegni e facendogli osservare il gran bene che ne sarebbe venuto e il servizio che avrebbe reso al Signore, se, volendo vivere una vita più perfetta, lo avesse fatto nel suo stesso Ordine. Egli le promise di aspettare, purché non andasse troppo per le lunghe.
Un fine intuito…
Teresa rimase entusiasta di averlo incontrato. Dice di lui ella stessa: “Non v’è religioso che non ne dica bene, per le molte penitenze che ha fatto… È un uomo di coraggio… È un uomo di grande orazione e molto intelligente” (Fondazioni 13, 1-5).
Juan tornò a Salamanca per terminare l’anno accademico e poi ripartì con Madre Teresa da Medina, per la fondazione del Carmelo femminile di Valladolid.
Uno strano noviziato in clausura… con Teresa come maestra
Si fermò a Valladolid con lei per conoscere bene il modo di vivere in questi nuovi Carmeli. È in questa circostanza che Teresa de Jesús introduce Juan de Santo Matía nello stile di vita, fraternità e ricreazione che ha avviato con la sue compagne. Discusse con la Santa circa il programma di vita da seguire tra i religiosi, che avrebbero dovuto vivere dello stesso spirito e realizzare grandi desideri apostolici. Teresa stessa racconta:
“Partii con lui per la fondazione di Valladolid. Siccome restammo alcuni giorni senza clausura a causa degli operai che lavoravano per adattare al bisogno la casa, ne approfittai per fargli conoscere il nostro sistema di vita, facendo in modo che comprendesse a fondo sia la mortificazione che lo stile di fraternità e di ricreazione che abbiamo in comune, il quale è ordinato in maniera tale da farci conoscere i nostri difetti e darci un po’ di svago per poi osservare meglio la Regola in tutto il suo rigore. Quel padre (Juan) era così buono, che potevo più io imparare da lui che non lui da me. Ma non era questo che intendevo: volevo soltanto che conoscesse il nostro modo di vivere” (cfr. Fondazioni 13, 1-5).
…gli compera una casa
Teresa si interessò subito per comperare un edificio per il nuovo convento maschile: lo trovò a Duruelo:
“(…) non trovando il modo di procurarsi una casa, non facevo che supplicare di questa grazia Nostro Signore perché (…), dopo avermi dato il più, vale a dire frati adatti a cominciare l’opera, provvedesse anche al resto (…). Un cavaliere di Avila, chiamato don Rafael, venne a sapere della nostra intenzione di fondare un convento di Scalzi. Mi offrì una casa di sua proprietà in un piccolo villaggio di pochissime famiglie (…). Io, anche se capii subito quale genere di casa dovesse essere, resi lode a Cristo Signore e ringraziai molto il cavaliere (…). Partii da Avila il mese di giugno con una compagna e con il padre Julian de Avila. Pur essendo partiti di mattina, siccome non conoscevamo la strada, ci smarrimmo e, poiché il villaggio era poco noto, non si riusciva a saperne molto. Perciò ci aggirammo tutto quel giorno con molta fatica perché il sole scottava. Quando credevamo di essere vicini alla meta, c’era altrettanta strada da fare. Non dimenticherò mai la stanchezza e le giravolte di quel viaggio. Arrivammo, così, poco prima di notte. Entrati nella casa, la trovammo in tale stato che non ci arrischiammo a pernottare lì a causa dell’eccessiva sporcizia che vi regnava e della gran quantità di parassiti estivi. Aveva un ingresso discreto, una camera divisa in due con il suo soppalco e una piccola cucina: ecco tutto l’edificio del nostro monastero! Considerai che nell’ingresso si poteva fare la cappella, che nel soppalco stava bene il coro e nella camera il dormitorio (…). Ci recammo a passare la notte in Chiesa” (cfr. Fondazioni 13, 1-5).
Alla fine del settembre del 1568 Juan partì da Valladolid per accomodare questa povera casa rurale “in maniera di potervi stare alla meno peggio”. Il 28 novembre di quell’anno si celebrò la prima Messa ed egli rivestì il saio di scalzo, che la Madre Teresa stessa gli aveva confezionato, assumendo il nome di Juan de la Cruz. Così iniziò la vita riformata tra i religiosi del Carmelo Scalzo di Duruelo.
Dal 1569 al 1571 ricoprì la carica di Maestro dei novizi, prima a Duruelo e poi a Mancera, dove si erano trasferiti.
Da Mancera si trasferì poi ad Alcalá de Henares, come rettore del collegio dei carmelitani scalzi: la Madre Teresa, trasferita nel monastero dell’Incarnazione, chiese ed ottenne dal Commissario Apostolico che Juan de la Cruz venisse designato come confessore di quel monastero. Pare che egli si sia fermato ad Avila dal 1572 al 1577.
Scoppiarono purtroppo a questo punto delle tensioni: due padri Domenicani erano stati nominati Visitatori Apostolici per visitare i Carmeli dei Calzati e degli Scalzi. Uno dei visitatori stessi, favorevole agli Scalzi, ma poco illuminato, incominciò a nominare superiori degli Scalzi un po’ in tutti i conventi, per diffondere ovunque la Riforma, e autorizzò molte altre fondazioni, come a Siviglia, a Granada, alla Peñuela, contro il parere del Generale dell’Ordine.
I Padri Calzati si allarmarono e pensarono addirittura di sopprimere gli Scalzi. Il caso si aggravò, per varie complicazioni, esasperando gli animi già inaspriti. Nonostante gli appelli di Madre Teresa al Re Filippo II e al Papa, che arrivarono in ritardo, gli Scalzi furono dichiarati ribelli. Fu deciso di chiudere i loro conventi e di procedere alla reclusione di Madre Teresa in un monastero di sua scelta.
Nella notte dal 2 al 3 novembre 1577 alcuni Calzati tentarono di irrompere nella piccola casa di Juan de la Cruz vicina al Carmelo dell’Incarnazione, egli fece in tempo a far scomparire tutti i documenti della Riforma, fu preso e portato via. Lo condussero a Toledo, lo rinchiusero in una cella stretta e buia, dove faceva un grande freddo e un caldo torrido d’estate. Vi restò 9 mesi, senza poter comunicare con alcuno, con poco cibo e senza biancheria pulita. Lo si accusò di aver gettato scompiglio nell’Ordine.
Perfino Juan de la Cruz stesso, dopo queste angherie e sofferenze, cominciò a dubitare di se stesso e dell’Opera intrapresa.
Dopo sei mesi fu cambiato il guardiano della sua cella, che cercò di aiutarlo in tutti i modi: gli portò anche una tunica pulita e il materiale per scrivere. Fu infatti in questo periodo che egli compose gran parte del Cantico Spirituale e le strofe della Notte oscura.
A metà agosto era così esausto e privo di forze, che credette di morire: decise invece di scappare. Con la complicità del suo carceriere, con l’aiuto certo di un’ispirazione di Maria, egli si calò, con le lenzuola del letto cucite e annodate, lungo un precipizio, saltando poi nel vuoto e arrivando sopra una scarpata. Riuscì, non si sa come, ad arrivare in città e a domandare asilo presso le Carmelitane. Così fu salvo.
Riuscì a ricongiungersi ai suoi fratelli Scalzi e ai primi di novembre prende possesso della sua carica di Superiore del Convento di El Calvario in Andalusia.
Nel 1578, Teresa, scrivendo alla Madre Anna di Gesù dice fra l’altro: “È un uomo celestiale e divino… dopo la sua partenza non ho trovato in tutta la Castiglia un altro come lui, capace di comunicare agli altri tanto fervore per la via del cielo… È un uomo di spirito, di grande esperienza e saggezza. Le sorelle formate alla sua scuola, qui sentono molto la sua assenza”.
Nel 1579 Juan partì per Baeza, per inaugurare il collegio degli Scalzi, che governerà come Rettore fino al 1582.
Quando ci fu ad Alcalá de Henares il Capitolo di separazione tra Carmelitani Scalzi e Calzati, costituiti gli Scalzi come provincia separata, dopo la concessione di Gregorio XIII, Juan de la Cruz intervenne attivamente e fu nominato terzo definitore. Nel 1582 divenne Priore del convento de los Martires a Granada, e l’anno dopo fu riconfermato.
Il discepolo prediletto del Santo, Giovanni Evangelista, parlando di lui in proposito, dice: “Il suo continuo parlare in ricreazione e in altri luoghi, era di Dio; ed era così amabile nel parlarne, che durante la ricreazione ci teneva tutti lieti e ne uscivamo pieni di gioia”.
Nell’ottobre 1585 fu nominato vicario provinciale dell’Andalusia, esplicando le sue attività e le sue doti in questo incarico, nel governo dei religiosi e delle religiose, con grande sapienza e saggezza.
L’anno dopo cadde gravemente ammalato a Guadalcazar: pensavano che morisse.
Egli però disse a fra Martino, suo confidente: “Non è giunta ancora l’ora della mia morte… non morirò, pur soffrendo molto, in questa malattia, perché non è ancora ben preparata la pietra per un edificio così santo”.
Il fratello infermiere gli scoprì in quel frangente una catena di ferro, che gli cingeva il corpo, le cui punte erano penetrate nella carne. Si venne a sapere che la portava da ben otto anni!
Camminava sempre scalzo, a piedi nudi, anche quando pioveva o nevicava. Mangiava pochissimo, dormiva poche ore sul nudo pavimento o sopra un mucchio di tralci di vite.
Nel 1587 non fu più nominato Vicario Provinciale, ma eletto, per la terza volta, Priore di Granada. L’anno dopo, il primo capitolo generale si radunò a Madrid: il Santo fu eletto primo definitore generale; instaurata poi La Consulta, nuova forma di governo voluta da Nicolò Doria, Juan de la Cruz divenne terzo consigliere.
Sempre Giovanni Evangelista dice che in questo periodo trascorreva sotto gli alberi notti intere in preghiera, tutto assorto, con le braccia distese in forma di croce.
Mentre era a Segovia, visitandolo spesso il dottor Villegas, il santo lo portava in giardino, ove trascorrevano 4 o 5 ore, parlando di Dio, senza accorgersi che il tempo passava.
Nel capitolo generale straordinario tenuto a Madrid nel 1590, il Santo si oppose ad alcune idee estremiste del Doria. Nel Capitolo Generale dell’anno seguente rimase senza alcun incarico e dopo vicende dolorose, in cui conservò una pace inalterabile e grande serenità, partì per la provincia dell’Andalusia, arrivando al convento della Peñuela.
Il mese dopo si ammalò e in cerca di cure per il suo male, si portò ad Úbeda. Nel frattempo si formò una vergognosa persecuzione contro di lui, per il risentimento di un suo antico suddito, Diego Evangelista. Il Priore stesso di Úbeda, Crisostomo, nutriva un’avversione particolare contro il Santo, che però gli fu sempre ubbidiente e sottomesso.
Juan de la Cruz morì santamente alla mezzanotte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, all’età di quarantanove anni. Fu dichiarato santo nel 1726 il 27 dicembre e Dottore della Chiesa nel 1926 il 24 agosto.
La morte di questo uomo celestiale e divino fu una morte di amore. Si dice nella Fiamma di amor viva: “In essa, ossia nella morte, si adunarono tutte le ricchezze della sua anima e vi entrarono i fiumi del Suo amore… Là si unirono i primi e gli ultimi tesori della sua anima. Per accompagnarla, al momento che partiva per il suo Regno, mentre fin dagli estremi confini della terra echeggiavano le lodi a gloria del giusto” (Fiamma I, 30).
Una carmelitana dichiara nei processi di canonizzazione: “La teste ha considerato molto spesso che nel Santo Padre Juan de la Cruz, uomo non bello, piccolo e modesto, che non possedeva quelle doti che nel mondo conquistano gli occhi, traluceva o si vedeva chiaramente “un non so che di divino” che attirava gli sguardi e assorbiva la mente…”.
Opere, pensiero, dottrina di Juan de la Cruz
Antologia di testi
Orazione dell’anima innamorata di Juan de la Cruz
Mio Signore, mio amato, se non compi quello che io ti chiedo perché ancora ti ricordi dei miei peccati, fai pure, o Dio mio, riguardo ad essi la tua volontà, che è quanto io cerco di più; usa la tua bontà e misericordia e sarai conosciuto in essi. E se tu attendi le mie opere per concedermi ciò di cui ti prego, concedimele e compile tu e vengano pure le pene che tu desideri accettare da me, ma se tu non aspetti le mie opere, che cosa aspetti, o clementissimo mio Signore? Perché tardi? Se infine deve essere grazia e misericordia quella che ti chiedo nel tuo Figlio, accetta il mio piccolo contributo perché lo vuoi e concedimi questo bene, poiché vuoi anche questo.
Chi potrà mai liberarsi dal suo modo di agire e dalla sua condizione imperfetta, se tu, o Dio mio, non lo sollevi a te in purezza di amore?
Come si innalzerà a te l’uomo generato e cresciuto in bassezza, se tu o Signore, non lo sollevi con la mano con cui lo creasti?
Non mi toglierai, Dio mio, quanto una volta mi hai dato nel tuo unico Figlio Gesù Cristo, nel quale mi hai concesso tutto ciò che io desidero; perciò io mi rallegrerò pensando che tu non tarderai, se io attendo.
Perché indugi a lungo, potendo tu subito amare Dio dentro il tuo cuore?
Miei sono i cieli e mia la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e miei i peccatori. Gli angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lo stesso Dio è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me.
Che cosa chiedi dunque e che cosa cerchi, anima mia? Tutto ciò è tuo e tutto per te.
Non ti fermare in cose meno importanti e non contentarti delle briciole che cadono dalla mensa del Padre tuo.
Esci fuori e vai superba della tua gloria. Nasconditi in essa e gustala e otterrai quanto chiede il tuo cuore.
Cronologia
Beato Transito
Beato transito di Juan de la Cruz, nostro padre
L’anno dell’Incarnazione di Signore Nostro Gesù Cristo 1591, la notte tra il 13 e il 14 dicembre, il nostro padre Juan de la Cruz, entra nella vita. Il Beato transito avviene nel Convento di Úbeda, nei pressi di Avila, in Spagna. Juan de la Cruz accostando le labbra al crocifisso che tiene in mano pronunzia lentamente le parole di Gesù sulla Croce: “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito” e spira. Ha quarantanove anni.
“mi getteranno in un angolo”
Come Juan de la Cruz aveva presagito, al terzo Capitolo Generale di Madrid gli si toglie ogni carica ed ogni autorità; non solo, ma ci si accanisce contro di lui cercando di allontanarlo dalla Spagna.
Siamo in piena estate dell’anno 1591, che sarà l’ultima della sua vita. Fra Juan de la Cruz torna al Convento di Segovia per prendere le sue poche cose personali e per salutare i suoi frati. È stato assegnato conventuale a La Peñuela.
A La Peñuela fra Juan sta vivendo giorni di intensa unione con Dio. La sua anima è giunta ormai a godere di quell’amore eccelso e perfetto che lui stesso chiama unione trasformante e che descrive proprio in quei giorni nella seconda stesura del Libro della Fiamma d’amor Viva, così:
“All’anima accade come al legno il quale, sebbene compenetrato dal fuoco da cui è stato trasformato e unito a sé, quanto più arde tanto più diventa infiammato e incandescente, fino a generare scintille e fiamme”.
“nelle tue mani, o Gesù, consegno il mio spirito”
Durante il mese di settembre alle sofferenze morali di fra Juan si vanno aggiungendo in modo crescente quelle fisiche.
Il 12 settembre il male si acutizza e una febbre insistente comincia a tormentarlo da mattina a sera, mentre si accentuano i dolori alla gamba destra. Le sue condizioni di salute si aggravano a vista d’occhio, per cui il Superiore gli comanda di andare a curarsi a Baeza o a Úbeda; fra Juan sceglie Úbeda perché, dice: “a Baeza ho tanti conoscenti che mi vogliono bene, mentre ad Úbeda non mi conosce quasi nessuno”.
Seduto su un mulo e accompagnato da un giovane, fra Juan parte per Úbeda febbricitante. I due toccano dapprima il villaggio di Vilches e si dirigono poi verso il Guadalimár che attraversano sul grande ponte in pietra rossa sotto le cui arcate fanno poi una breve sosta. Al giovane accompagnatore che insiste perché fra Juan mangi qualcosa, questi esprime un desiderio: “Non ho appetito di niente, dice, se non di asparagi; ma sono fuori stagione…”. E così non prende cibo.
Si intrattengono allora a parlare di Dio quando scorgono, su una pietra non lontana, un bel mazzo di asparagi freschi, legati con un filo di paglia come quelli che si comprano al mercato.
Allora fra Juan dice al giovane di cercare il proprietario, ma non avendo trovato nessuno gli ordina di mettere sulla pietra due monete e di prendere gli asparagi. Il giovane e poi i frati di Úbeda, ai quali li porteranno, riterranno il fatto per miracoloso.
Il Convento di Úbeda non è grande né ricco e, in quei giorni, non è neppure in pace. Il priore, quel padre Francesco Crisostomo che a Siviglia fu redarguito insieme al padre Diego Evangelista da fra Juan, è un tipo altero ed irritabile con i sudditi che lo temono e lo subiscono a malincuore. Egli accoglie freddamente ed anche con ostilità il nuovo venuto e, quasi a vendicarsi dell’antico rimprovero, gli rinfaccia che il Convento è povero e gli assegna la cella più piccola e buia.
Fra Juan lo ringrazia con dolcezza e si sottomette in tutto a lui, anche quando, febbricitante e pieno di dolori, è obbligato ad assistere agli atti comuni. Ben presto però la piaga al piede destro si dilata in cinque bubboni a forma di croce: viene chiamato il medico che decide di incidere.
L’operazione è compiuta in cella, senza anestesia: il taglio, che giunge a scoprire l’osso, è più lungo di un palmo. Vengono estratti pezzi di carne marcia e due scodelle di pus. Fra Juan subisce il terribile squarcio senza emettere un lamento. Alla fine dell’intervento chiede al chirurgo:
“Che cosa mi ha fatto, dottore?”
“Le ho aperto il piede e la gamba”, risponde quello, “e mi chiede cosa le ho fatto?”
Le medicazioni sono frequenti e dolorose, e si deve ricorrere alla carità di laici per avere le bende e per lavarle, perché il Superiore non vuole spendere soldi. Per lo stesso motivo anche i pasti vengono preparati fuori Convento da una buona famiglia di Úbeda, e tutto ciò umilia grandemente il malato. In compenso fra Juan è circondato dall’affetto dei frati, alcuni dei quali sono stati suoi religiosi al Calvario e a Granada.
Un giorno il priore, che non vede di buon occhio le premure che l’infermiere, fra Bernardo, ha per il malato, lo toglie dall’incarico.
Fra Bernardo allora, non sopportando il sopruso, ricorre al Provinciale che, come sappiamo, è il vecchio padre Antonio di Gesù (Heredia) con il quale fra Juan aveva iniziato la Riforma Teresiana a Duruelo.
Il padre Antonio viene ad Úbeda, riprende il priore, ristabilisce l’infermiere nella sua mansione e ordina che nulla manchi al malato. Poi, per consolarlo, il padre Antonio ricorda a fra Juan gli anni eroici di Duruelo e di Mancera e i sacrifici sopportati per amore di Dio, ma viene subito interrotto:
“Non mi dica ciò, padre, non mi dica ciò: mi parli piuttosto dei miei peccati…”.
Il 12 dicembre, verso sera, fra Juan chiede il Santo Viatico che riceve con visibile amore.
Il 13 dicembre prega il priore di venire da lui: gli chiede perdono del disturbo e delle spese che ha causato al Convento e, indicando l’abito carmelitano, gli dice:
“Padre, ecco l’abito della Vergine che mi è stato dato in uso; io sono povero e non ho nulla con cui essere sepolto; prego perciò Vostra Reverenza di darmelo in elemosina”.
Il priore allora si commuove, si mette in ginocchio e gli chiede perdono e la benedizione. Poi esce piangendo dalla cella.
Il giorno 14 fra Juan chiede che gli sia amministrata l’Unzione degli infermi e, ricevutala, prende in mano il Crocifisso, Lo fissa a lungo e a lungo Lo bacia sui piedi. I dolori che lo affliggono divengono sempre più atroci, ma non si lamenta e non chiede sollievo. Sulla spalla destra gli si è aperta una piaga grande come un pugno, ma non dice nulla, neppure al medico.
La sera del giorno 14 chiede all’infermiere che ora sia e, saputo che sono le 22, prega i frati che circondano il suo giaciglio di andare a riposare perché, dice, non è ancora giunta la sua ora. E si raccoglie in preghiera. Quando gli dicono che sono le 23 e 30 fa chiamare i frati e chiede al priore che gli porti il Santissimo Sacramento, per adorarLo ancora una volta sulla terra. Poi chiede nuovamente:
“Che ore sono?”
“Sono quasi le 24” gli vien risposto.
“Ebbene, a quell’ora sarò a cantare Mattutino in Cielo!”
Poco dopo si odono le campane della chiesa di San Salvatore che suonano la mezzanotte, l’ora della recita di Mattutino. Allora lo si vede accostare il Crocifisso alle labbra e dirGli lentamente, parola per parola:
“Nelle tue mani, o Gesù, io consegno il mio spirito”.
E con queste parole, senza rantolo né agonia, va a vedere in Cielo quel Gesù che aveva tanto amato sulla terra.
Il corpo di fra Juan non riposa ad Úbeda: esso è ritornato a Segovia, nella chiesa del suo Convento, ove una tomba gli è stata eretta dalla pietà e dall’amore dei fedeli.
Ma il suo spirito è nella gloria di Dio; ed è accanto a noi, per guidarci ancora, come fece quando era vivente sulla terra, alla vetta del monte santo della perfetta e beatificante unione con la divina Trinità.